Se siete stati in Scozia, avrete sicuramente notato l’abitudine locale di allungare il whisky con una leggera spruzzata d’acqua. E silenziosamente l’avrete giudicata come un’indicibile eresia, un bieco annacquamento a tutto svantaggio del sapore.
Invece, secondo gli scozzesi, l’annacquamento regalerebbe al whisky un surplus di gusto.
Ma è davvero è così? Oppure l’aggiunta d’acqua è una credenza popolare, un rito scaramantico tramandato nei secoli che ha resistito, non si sa perché, fino ai giorni nostri? La domanda merita una risposta più approfondita, considerato che gli scozzesi di whisky se ne intendono, e che questa strana usanza potrebbe non risultare così campata per aria.
A questo proposito, Bjorn Karlsson e Ran Friedman, del centro universitario chimico Linneo, in Svezia, hanno pubblicato sulla rivista Scientific Reports uno studio sulla composizione molecolare del whisky. I due scienziati avanzano un paio teorie per cui aggiungere acqua porterebbe a un miglioramento del sapore nel whisky. La prima sostiene che l’acqua aggiunta riuscirebbe a intrappolare le componenti meno gradevoli del liquore. Il whisky contiene acidi grassi che alle due estremità presentano una carica elettrostatica diversa: un estremo, infatti, è attratto dall’acqua, mentre l’altro no.
Grazie all’aggiunta d’acqua, gli acidi grassi accrescerebbero la capacità di intrappolare i componenti senza aroma né odore, rendendo il whisky più saporito. Secondo un’altra teoria, invece, l’acqua rilascerebbe molecole in grado di migliorare il sapore, a tutto vantaggio del liquore. Gli scienziati hanno subito accantonato la prima teoria, perché gli acidi grassi del whisky sono presenti in concentrazioni così basse tali da non riuscire a produrre effetti di rilievo a livello di gusto. I due studiosi si sono quindi concentrati sulla seconda teoria.
“Il whisky è una miscela formata da centinaia o addirittura migliaia di elementi, noi ci siamo focalizzati su tre: acqua, etanolo e guaiacol”.
Il guaiacol è l’elemento che dà al whisy quell’aroma speziato leggermente “affumicato”; dal punto di vista chimico, è simile ad altri aromi del whisky come la vanillina (aroma di vaniglia) o il limonene (aroma di agrumi). Secondo gli studi dei due ricercatori, la concentrazione di etanolo avrebbe un grande effetto sul guaiacol: con concentrazioni superiori al 59%, il guaianol viene distribuito in modo omogeneo in tutto il composto.
Prima dell’imbottigliamento, però, il whisky è diluito fino ad abbassare la concentrazione di etanolo al 40%: in questo caso, è stato rilevato che l’etanolo si accumula in superficie, trascinando con sé le molecole aromatiche di guaiacol.
A una concentrazione ancora minore, il 27%, l’etanolo invece comincia a evaporare, liberando il guaiacol. In pratica, è come se un bartender si divertisse a provare diverse concentrazioni di acqua e alcol: con poca acqua, il guaiacol non riesce a far sentire il suo aroma, con troppa acqua la soluzione diventa insapore, annacquata.
Ma se aggiungere una certa dose d’acqua fa salire le molecole di guaiacol in superficie, rendendo più saporito il whisky, perché non venderlo già con concentrazione di alcol minori? In realtà, imbottigliare il liquore con concentrazioni più elevate (di alcol) fa sì che il gusto si preservi meglio e più a lungo: il whisky, per definizione, deve avere una percentuale del 40% di alcol. Diluirlo significherebbe anche aumentare i costi di confezionamento e distribuzione.
In definitiva, a oggi non sono previsti cambiamenti nella composizione del whisky per renderlo più aromatico. Ma se sentite qualcuno dire che non ama il whisky, provate a dirgli di aggiungere un goccio d’acqua: probabilmente, cambierà idea.
Del resto gli scozzesi, in materia, la sanno lunga.
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